Vai al contenuto
Home » Articoli » Discromatopsia e Chimica: una strana coppia?

Discromatopsia e Chimica: una strana coppia?

occhio discromatopsia

Dagli occhiali alle lenti a contatto, la chimica può davvero migliorare la qualità della vita di chi soffre di discromatopsia (daltonismo per gli amici).

Vi siete mai chiesti perché il semaforo è fatto di tre luci separate? Non sarebbe stato più semplice avere un’unica luce che lampeggia di tre colori diversi?
La risposta è: certo, ma come la mettiamo con chi non distingue i colori e non sarebbe in grado di interpretare rapidamente il messaggio che viene dato dal semaforo?

Avere luci di tre colori diversi in tre slot separati (in alcuni paesi, anche la forma degli slot è diversa) è essenziale per quell’ 8% degli uomini e 0.5% delle donne che nel mondo soffrono di discromatopsia, o, come viene chiamato colloquialmente, daltonismo.

semaforo daltonismo discromatopsia
Il verde nella maggioranza delle culture è sinonimo di “via libera” e il semaforo non fa eccezione. Ma che succede a chi non è in grado di distinguerlo dal rosso? Immagine: Pexels

La discromatopsia racchiude diversi tipi di disturbi della vista che portano all’inabilità di distinguere alcuni colori. Esistono forme particolarmente gravi e rare che portano all’impossibilità di vedere tutti i colori (acromatopsia). Le forme più comuni di discromatopsia sono quelle che impediscono a chi ne soffre di distinguere bene tra rosso e verde e vengono racchiuse sotto il nome inglese di red-green color blindness

In questo articolo:

  • Da cosa ha origine la discromatopsia?
  • Si può curare la discromatopsia?
  • Uno sguardo ai nostri recettori
  • Molecole “filtro”: la chimica per la discromatopsia
  • Una tecnologia sofisticata (e brevettata)
  • Dagli occhiali alle lenti a contatto: il passo (non) è breve
  • Nanoparticelle per la discromatopsia

Da cosa ha origine la discromatopsia?

Per capirlo, bisogna risalire al meccanismo della nostra visione. I nostri occhi sono in grado di vedere grazie alla presenza di tre tipi di recettori detti “coni”, che rispondono alla luce di colori diversi. Abbiamo un recettore per il rosso, uno per il verde e uno per il blu. Quando vediamo un determinato colore, i tre recettori si attivano in misure diverse in base al colore. In men che non si dica, i loro segnali separati inviati al cervello permettono di “ricomporre” il colore come somma di rosso, blu e verde.

Se uno (o più) di questi tre recettori è fuori uso – o funziona, ma con delle anomalie – la visione dei colori è compromessa. 

discromatopsia daltonismo Ishihara
Il Test di Ishihara permette di rilevare casi di visione compromessa. Chi soffre di discromatopsia può non essere in grado di vedere la forma (o il numero) che si celano nel disegno a pallini. Immagine: Wikipedia

Di fatto, la parola “daltonico” è imprecisa, perché fa riferimento ad una condizione generica di mancato funzionamento dei recettori. In realtà, le persona interessate da questo fenomeno vengono chiamate in modi diversi a seconda del recettore interessato. Chi un difetto al recettore “primario”, quello del rosso, è detto “protano”; i “deutani” sono quelli che hanno un malfunzionamento del recettore “secondario” del verde, e i tritani a quello “terziario” del blu (questi ultimi sono molto rari). 

Si può curare la discromatopsia?

Per la discromatopsia non c’è cura. O meglio, non ancora: nel 2009 la visione a tre colori è stata reintrodotta con successo in una scimmia che soffriva di disfunzioni visive dalla nascita. Questo, usando la terapia genica. Una cura promettente, ma c’è ancora bisogno di molto tempo per stabilire se possa essere applicata anche sull’uomo.

Nel frattempo, si può puntare a correggere il tipo di discromatopsia più diffusa, la red-green color blindness, nello stesso modo in cui si correggono i difetti di vista più comuni, come la miopia: con occhiali e lenti a contatto. Anche se, a differenza di quanto succede nelle lenti classiche, serve lo zampino della chimica.

uno sguardo ai nostri recettori

Per capire come la chimica può dare una mano a chi soffre di red-green color blindness, dobbiamo scendere un po’ più nel dettaglio su come funzionano i nostri recettori.

Le curve qui sotto mostrano la misura in cui la luce attiva i recettori dei nostri occhi in funzione del suo colore.  

Daltonismo discromatopsia recettori
Piccolo memo: luci di colori diversi hanno energie diverse. In questo grafico i colori sono espressi non con i nomi “rosso” e “verde” ma con l’unità di misura della lunghezza d’onda, che quantifica l’energia della radiazione luminosa. Immagine da questo articolo

Le tre curve rappresentano i tre recettori per il blu, verde e rosso. Forse già dall’immagine capirete perché la red-greed color blindness è più diffusa. Il recettore per il blu è attivato dalla luce a più alta energia (bassa lunghezza d’onda). L’intervallo di energia a cui è sensibile è abbastanza diverso da quello degli altri due recettori: infatti questa curva è ben “separata” dalle altre due.

Il recettore verde e quello rosso, invece, si attivano spesso contemporaneamente, anche se in misura diversa, con luce della stessa energia: lo si vede dal fatto che c’è una buona sovrapposizione delle due curve. In ogni caso, in un individuo che non ha problemi della vista (il primo grafico), la separazione tra le curve è sufficiente comunque a far distinguere tra rosso e verde.

In un individuo daltonico per protanomalia o deuteranomalia (che presenta cioè un difetto al recettore del rosso o del verde) le due curve dei recettori rosso e verde sono ancora più sovrapposte. Quindi, se vedo un colore vicino al rosso (ad esempio un arancione) anche il mio recettore del verde si attiva più di quanto dovrebbe. In questo modo, al mio cervello arriva un segnale sbagliato che dice “rosso+verde” e il colore che vedo è simile al marrone.

molecole filtro: la chimica per la discromatopsia

In sostanza, nei soggetti daltonici per red-greed color blindness i colori corrispondenti a determinate lunghezze d’onda risultano particolarmente problematici. Queste sfumature “incriminate” attivano due recettori in contemporanea inviando al cervello un segnale “sporco”. 

Partendo da questo presupposto, si può pensare che filtrando (cioè eliminando) queste lunghezze d’onda il cervello sia in grado di processare meglio l’informazione del colore. Questa è infatti la soluzione è alla base delle correnti tecnologie di correzione della vista.

Già dalla metà del 1800 era noto che l’uso di occhiali con lenti colorate poteva migliorare la visione di chi era affetto da discromatopsia. Nel 1857 il fisico James Maxwell costruì un paio di occhiali con una lente rossa e una verde, grazie ai quali alcuni soggetti daltonici erano in grado di distinguere meglio colori che normalmente confondevano. 

Le moderne tecnologie basate su questo principio, una su tutte gli occhiali EnChroma, utilizzano lenti che includono molecole di colorante “filtro”. Queste, in virtù della loro struttura chimica, assorbono alcune precise lunghezze d’onda facendo sì che non arrivino all’occhio e lo confondano. 

Il grafico qui sotto mostra il funzionamento dei filtri EnChroma: le zone colorate in grigio corrispondono alle lunghezze d’onda filtrate via. Come potete vedere, corrispondono alle zone di maggiore “sovrapposizione” delle curve.

Lenti EnChroma discromatopsia
Il grafico delle lenti EnChroma: in rosso, verde e blu le curve dei recettori (in questo caso di una persona senza problemi di vista). Le zone grigie sono le lunghezze d’onda eliminate dai filtri. Immagine: courtesy of EnChroma.

una tecnologia sofisticata (e brevettata)

Non è facile trovare i coloranti adatti perché molte molecole non hanno quello che si dice “un singolo picco di assorbimento”. In altre parole, assorbono in maniera diffusa un insieme più o meno ampio di lunghezze d’onda, mentre avremmo bisogno di fare un taglio “di precisione” su intervalli molto limitati di colore.

In sostanza, se scegliessimo delle molecole sbagliate, le bande grigie del grafico sarebbero troppo ampie e questo ridurrebbe il numero di colori visibili in maniera drammatica!

Non per niente quella di EnChroma è una tecnologia sofisticata, e le formule chimiche alla base delle sue lenti sono protette da brevetto (qui e qui).

Dagli occhiali alle lenti a contatto: il passo (non) è breve

Una volta sviluppati gli occhiali, si è pensato di usare una tecnologia simile sulle lenti a contatto. Con qualche problema in più: i coloranti, proprio perché a diretto contatto con l’occhio, devono essere assolutamente non tossici. In più, nelle lenti degli occhiali i coloranti sono intrappolati nel polimero “duro” che costituisce le lenti. Al contrario, alcuni polimeri “morbidi” (di cui sono fatte le lenti a contatto) possono accidentalmente rilasciare colorante se immerse nella soluzione detergente o in un ambienti umidi come l’occhio umano. Sfortunatamente, questi polimeri “morbidi” sono anche quelli che garantiscono all’occhio la corretta traspirazione di ossigeno. 

Nonostante queste difficoltà, ad oggi la ricerca fa sforzi da gigante per rendere la tecnologia delle lenti a contatto competitiva con quella degli occhiali. Per il momento si sta provando ad adattare ai nuovi substrati lo stesso principio, quello delle molecole “filtro”… ma senza limitarsi all’uso dei coloranti. 

lenti a contatto daltonismo
Come una normale lente a contatto, ma con un colorante che scherma le lunghezze d’onda disturbanti. Ma la chimica dei coloranti non rende tutto così semplice. Immagine: Pexels

nanoparticelle per la discromatopsia

All’inizio del 2021, sulla prestigiosa rivista ACS Nano, sono stati riportati dei prototipi di lente a contatto contenenti nanoparticelle d’oro in grado di filtrare le lunghezze d’onda problematiche per chi soffre di daltonismo. 

Le soluzioni contenenti nanoparticelle d’oro, a causa di complessi effetti ottici, hanno l’interessante proprietà di assorbire luce di energia diversa a seconda della dimensione delle particelle usate. Un effetto di questa proprietà è che soluzioni contenenti particelle di dimensioni diverse hanno colore diverso.

oro nanoparticelle daltonismo
L’uomo ha utilizzato le nanoparticelle d’oro fin dall’epoca romana… anche se in maniera non del tutto consapevole. In questa foto (da Wikipedia), il colore rosa di questo vasetto di vetro è ottenuto con nanoparticelle d’oro.

Gli studi preliminari condotti sulle le lenti a contatto a base di nanoparticelle d’oro hanno permesso di selezionare le dimensioni delle particelle che facessero da filtro per la lunghezza d’onda corretta. L’entusiasmo è alto: l’assenza di tossicità e la biocompatibilità dei materiali utilizzati fanno sperare nel successo di questa tecnologia. 

Cosa significa vedere il mondo con i giusti colori? Prima di affrontare questo tema mi sono posta questa domanda, da persona che (a parte la miopia con cui ormai ho fatto pace) non ha difetti di vista. Le reazioni di queste persone con discromatopsie varie che indossano occhiali correttivi per la prima volta, forse, ci possono dare un’idea della risposta. Buona visione 🙂


2 commenti su “Discromatopsia e Chimica: una strana coppia?”

  1. Mariafrancesca Coccimiglio

    Fantastico. Non sapevo tutti questi particolari sul daltonismo e delle possibili soluzioni. Trovo il tutto ben spiegato grazie anche ai grafici. Bellissimo il video che avete inserito alla fine. Complimenti.

  2. FINALMENTE un articolo sul daltonismo come si deve.

    Da tecnico di elettronica e telecomunicazioni, ho capito perfettamente tutta la questione e della soluzione coi filtri

    Grazie

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *