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Cibo del futuro, parte uno: alla scoperta della carne vegetale

Carne vegetale macinata e in salsicce

Come si va da un baccello di piselli a un succulento hamburger? tutto quello che volete sapere sulla chimica della carne vegetale!

Cosa mangeremo tra 30 anni? La domanda, che poteva avere una risposta scontata 100 anni fa, ora non è banale. La popolazione mondiale è andata incontro ad un aumento vertiginoso dagli anni ’50 del secolo scorso, tanto che ci si aspetta di arrivare al 2050 con ben 10 miliardi di persone da sfamare

Quello che per certo sappiamo è che, con le soluzioni alimentari ora in nostro possesso, non saremo in grado di produrre cibo a sufficienza per una popolazione a dieci zeri. Da qui la necessità di pensare ad una nuova idea di cibo, trovando delle fonti alternative di nutrienti che siano efficienti, accessibili a tutti, e sostenibili dal punto di vista ambientale.

Spoiler: il cibo in pillole (come nella serie vintage The Jetsons – I Pronipoti) non sembra un’alternativa praticabile! Immagine: Hanna-Barbera production, all rights reserved.

Tanto per cominciare, quando oggi si parla di cibo del futuro, sembra scontato che dovremo iniziare a fare a meno della carne. O quantomeno, della carne nelle quantità a cui siamo abituati oggi. Ma perché? E quali sono le alternative?

Il Chimico sulla Tavola cercherà di dare una risposta a queste domande in questa serie di articoli dedicati al cibo del futuro. E in questo primo articolo, vi racconteremo (da assaggiatore appassionato qual è) di una prima alternativa alla carne che già oggi possiamo includere nei nostri menu: la carne vegetale.

In questo articolo:

  • Perché diminuire il consumo di carne?
  • La chiave sta nel trovare… la giusta alternativa
  • Fake meat: “scalare la montagna” della carne vegetale
  • Com’è fatta la carne vegetale?
  • Come si ricrea l’aroma della carne vegetale?
  • Ma una volta addentata, questa carne plant-based che effetto fa?

Perché diminuire il consumo di carne?

La risposta a questa domanda non include solo motivi etici o salutistici, ma anche ambientali. La carne – con una certa distinzione tra quella di un animale o dell’altro – è infatti l’alimento insostenibile per eccellenza dal punto di vista ambientale. E in questo senso, il cibo del futuro dovrà essere profondamente diverso. Ma, prima di tutto, chiariamo cosa intendiamo quando diciamo che la carne “non è sostenibile”.

Un parametro comunemente usato per misurare la sostenibilità di ogni processo o prodotto, cibo incluso, è la cosiddetta “Carbon Footprint”. Con questo valore si misura la quantità di gas serra che viene emessa lungo il ciclo di vita di un dato prodotto. L’anidride carbonica, che è solo uno dei molti gas serra esistenti, viene per comodità usata come unità di misura.

Calcolando l’impronta carbonica della carne, saltano fuori cifre che fanno girare la testa. Il consumo umano di carne comporta processi particolarmente impattanti in termini di emissioni: non solo quelle legate alla normale pratica di allevamento, ma anche quelle legate alla conversione delle foreste in pascoli o in campi coltivati a mangime per il bestiame. Inoltre i ruminanti producono spontaneamente un gas serra nel corso del loro processo digestivo, il metano. Da qui i numeri: mediamente produrre 1 kg di carne di manzo (appunto, un ruminante) comporta un’emissione media che sfiora i 100 kg di anidride carbonica, a fronte dei 12 della carne di maiale e dell’1 dei piselli. Oddio!

Quanti gas serra emettono i nostri alimenti? Quelli a base vegetale sono tutti in fondo alla classifica. Quanto alla carne… no comment.
Questo grafico, di Our World in Data, è ricavato dalle cifre riportate nello studio di Poore e Nemecek pubblicato nel 2018 su Science che trovate anche nelle fonti.

La chiave sta nel trovare… la giusta alternativa

Insomma, i numeri parlano abbastanza chiaro: il cibo del futuro dovrà essere necessariamente compatibile con delle necessità ambientali sempre più pressanti. E proprio per questo, dovremo imparare a ridurre la quantità di carne sui nostri menu. Ma, perché questa sia una strada praticabile per tutti (o quasi), bisogna pensare a soluzioni ad ampio spettro. Cioè, ad alternative vegetali alla carne che siano appetibili anche per gli affezionati dell’umami

E siccome è più facile convincere un cammello a passare per la cruna di un ago che un carnivoro ad apprezzare il tofu o il seitan, il grande sforzo della chimica alimentare è proprio quello di ricreare la carne a partire da materie prime vegetali. Una ricerca alchemica che fa impallidire quella per la Pietra Filosofale.

Fake meat: “scalare la montagna” della carne vegetale

Piante e carne, si sa, hanno poco in comune. Tanto per cominciare, i muscoli sono elastici e flessibili, mentre le cellule vegetali hanno pareti rigide che si piegano con difficoltà. Proprio per questo i burger di legumi tendono a sbriciolarsi e hanno una consistenza pastosa di solito poco amata. 

Poi c’è il grasso, che le piante non hanno, e che gioca un ruolo fondamentale non solo nella texture ma anche nella veicolazione di molti aromi liposolubili nella nostra bocca. E ovviamente, il sapore è completamente diverso. Sembra una montagna molto difficile da scalare, ma, come tutte le montagne, è fatta di piccoli passi. In questo caso, di singole molecole.

Per ricreare aspetto, texture e aroma di un burger di carne bisogna risalire alla chimica della carne stessa. Capire, cioè, quali sono le molecole che danno alla carne le sue caratteristiche, e trovare delle alternative da utilizzare. È il principio alla base dei burger “plant-based”, o di “fake meat” (letteralmente, carne finta).

Com’è fatta la carne vegetale?

A dirlo sembra facile: si parte da una fonte vegetale (piselli, lupini, soia, ma anche patata e colza) e se ne isolano le proteine. Poi, si dosano sapientemente grassi vegetali, aromi, emulsionanti, addensanti e coloranti per arrivare ad ottenere un prodotto che sia ragionevolmente simile alla normale carne macinata. Ma tra il dire e il fare, ci sono anni e anni di studio e innumerevoli materie prime testate. Ad esempio: come si ricrea la succosità del grasso dell’hamburger, l’effetto del grasso solido che si scioglie sulla griglia portando tutti i sapori della carne sul nostro palato? Attualmente si usa l’olio di cocco, uno dei pochi grassi vegetali solidi a temperatura ambiente (come i grassi animali), ma sempre in mix accurati con altri olii (come girasole, colza e soia).

Un’alternativa vegetale è stata trovata anche per il colore rosso della carne, naturalmente dato dal gruppo eme della mioglobina. Nella versione più semplice, ai burger viene addizionato un colorante vegetale: ad esempio, l’estratto di barbabietola, naturalmente rosso per la presenza di betalaine. Piccolo problema: questi coloranti sono stabili ad alta temperatura, il che vuol dire che il burger, una volta cotto, resta rosso. Per questo vengono aggiunte delle tracce di zuccheri (xylosio, mannosio, galattosio) per promuovere un “imbrunimento”, almeno in superficie, che mascheri il colore rosso.

Next Level Burger è l’alternativa Plant-Based di Lidl, disponibile sugli scaffali italiani a prezzi davvero competitivi. Ed è davvero buono! Immagine: Lidl

In una versione più sofisticata di burger vegetale (quella dell’ultra-noto leader di mercato Impossible Foods) si è riusciti a superare anche questo problema utilizzando la leghemoglobina, una versione vegetale della mioglobina. Questa proteina dal colore rosso è presente naturalmente nelle radici di alcune leguminose, ma si può produrre più efficientemente attraverso l’ingegnerizzazione genetica di alcuni lieviti. Con l’uso di questo “sangue vegetale” l’effetto naturalezza è assicurato, anche perché la presenza di ferro garantisce un aroma davvero simile a quello del sangue originale… senza che nessuno si faccia male.

Come si ricrea l’aroma della carne vegetale?

Sappiamo bene che il profumo della carne in cottura, quella vera, deriva dal complesso di reazioni chimiche a catena che va sotto il nome di reazione di Maillard. Nella carne vegetale, invece, l’aroma resta la parte più misteriosa. La dicitura “aromi” non sempre viene esplicitata in etichetta: quello che deve essere specificato è solo se gli aromi utilizzati siano di origine naturale o artificiale. Ma che la reazione di Maillard sia riprodotta “naturalmente” con le molecole presenti nella carne vegetale, oppure che i suoi prodotti (le molecole che costituiscono l’aroma della carne) siano inseriti lì già belli e fatti dopo essere stati prodotti in laboratorio, non ci dovrebbe interessare più di tanto. Vero?

Creare un aroma non è una cosa semplice. Una volta creata la molecola odorosa (cosa già di per sé non banale) c’è un’altra questione di cui tenere conto: il momento in cui questa si libera. La natura chimica delle molecole di aroma fa sì che queste si trovino prevalentemente disciolte nella parte grassa della carne. E se il grasso si scioglie al momento sbagliato – prima della cottura, o troppo avanti – l’aroma si libera in un momento innaturale. Mangereste un hamburger che non profuma di carne mentre lo cuocete, oppure che profuma… da crudo? No, appunto.

Non a caso, alcune tra le maggiori realtà industriali della chimica si dedicano proprio allo studio degli aromi e della loro gestione all’interno dei cibi di nuova generazione. Firmenich, compagnia svizzera tra le più importanti del mondo nel campo della “chimica sensoriale”, ha sviluppato la tecnologia di incapsulamento che ha portato, nel 2021, all’aroma di carne Dynarome®. A differenza dei comuni aromi, questo è grado di liberarsi dalla miscela di grassi nell’intervallo di tempo proprio della classica carne, garantendo massima naturalezza nell’esperienza mistica dell’arrostata.

Dynarome® fa parte del portfolio di tecnologie proprietarie dedicate al tema Smart Proteins. Non so a voi, ma a noi questa foto mette un certo appetito! Immagine: Firmenich

Ma una volta addentata, questa carne plant-based che effetto fa? 

In termini di texture, dal 2015 (anno di uscita del primo Impossible Burger) sono stati fatti passi da gigante. Ma – c’è un ma: quando parliamo di perfezionamento della consistenza parliamo solo di burger, o comunque di affini a base di carne macinata come polpette o salsicce. Ricreare un taglio specifico – un petto di pollo, un filetto di manzo – è tutt’altro affare, e molto più difficile.

Infatti, mentre la struttura della carne macinata è letteralmente “caotica”, e quindi relativamente semplice da imitare, la carne intera possiede una struttura ordinata fibrillare che ancora non siamo esattamente in grado di riprodurre. A complicare le cose, c’è la sapiente alternanza di tessuti che si susseguono in un taglio di carne: grasso, tessuto connettivo e muscolo.

In realtà, ricreare la perfetta bistecca plant-based (ma anche tutti gli altri tagli) è al momento una specie di Santo Graal della chimica. Un numero strepitoso di start-up dedicate alle tecnologie alimentari si sta sfidando per ricreare le fibrille perfette, e lo sta facendo a colpi di… eh no, vi dobbiamo lasciare la suspense per i prossimi articoli! 

Disclaimer: questo articolo è stato scritto senza interessi commerciali e dietro alcun compenso da parte delle compagnie citate.

Fonti:

ps://www.science.org/doi/10.1126/science.aaq0216 – Uno studio esauriente sull’impatto ambientale del nostro cibo

https://ourworldindata.org/environmental-impacts-of-food – Modi efficaci di visualizzare l’impatto ambientale legato alla produzione di carne

https://www.firmenich.com/taste-and-beyond/press-release/firmenich-launches-dynaromer-tr-natural-heat-induced-aroma-plant – L’aroma che si libera “a tempo”

https://impossiblefoods.com/products/burger – La pagina di Impossible Burger

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/B9780128148747000067 – Una review scientifica sulle alternative plant-based alla carne

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